E’ ottenuto da mani straniere più di ¼ del Made in Italy a tavola, con oltre 973mila giornate di lavoro fornite da lavoratori stagionali stranieri solo in provincia di Foggia nel 2018, il 27,61% del totale delle giornate di lavoro necessarie al settore. E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti diffusa in occasione della presentazione del progetto “Lavoro stagionale - dignità e legalità”, su base dei dati del Dossier Statistico Immigrazione 2019.
“I prodotti dell’agricoltura passano nelle mani dei lavoratori stranieri regolarmente impiegati che rappresentano circa il 25 per cento del numero complessivo di giornate di occupazione del settore e rappresentano, quindi, una componente indispensabile per garantire i primati del Made in Italy alimentare nel mondo”, dichiara Savino Muraglia, presidente di Coldiretti Puglia.
Gli stranieri residenti in Puglia rappresentano il 5% sul totale della popolazione residente totale e il lavoro – dice Coldiretti Puglia - è la leva principale dell’integrazione con molteplici attività di pubblica utilità ritenute necessarie per compensare l’aiuto ricevuto con il vitto e alloggio nell’accoglienza.
“Sono 134mila gli stranieri residenti in Puglia, con una equa ripartizione tra uomini e donne. Le province di Bari e Foggia rappresentano i principali poli attrattivi per gli stranieri regolarmente residenti. Lecce, nel dettaglio, secondo i dati, è la provincia più ambita dalla nuova migrazione, seguita da Foggia, mentre meno incidente è la presenza di migranti nelle province di Taranto e Brindisi”, aggiunge il presidente Muraglia.
La lotta allo sfruttamento – sottolinea la Coldiretti - deve iniziare nei Paesi di origine di molti migranti dove l’obiettivo deve essere quello di esportare un modello di sviluppo che punti sulla valorizzazione delle realtà locali, promuova le potenzialità dell’impresa familiare e sostenendo così i piccoli produttori del Sud del mondo, minacciati dalla distorsione nei sistemi di produzione e distribuzione degli alimenti che favorisce l’accaparramento delle terre e provoca la fuga dalle campagne verso i Paesi più ricchi dove spesso li attendono la sofferenza e l’emarginazione.
A più di tre anni dall’approvazione della legge sul caporalato l’esperienza dimostra che la repressione da sola non basta ed è invece necessario – sottolinea la Coldiretti – agire anche sulle leve economiche che spingono o tollerano lo sfruttamento, dalla lotta alle pratiche commerciali sleali fino alle agevolazioni concesse dall’Unione Europea alle importazioni low cost da Paesi a rischio.
Occorre – precisa la Coldiretti - spezzare la catena dello sfruttamento che si alimenta dalle distorsioni lungo la filiera, dalla distribuzione all’industria fino alle campagne dove i prodotti agricoli, dal pomodoro alle arance, pagati sottocosto pochi centesimi al chilo spingono le imprese oneste a chiudere e a lasciare spazio all’illegalità.
Per questo – continua Coldiretti – bisogna agire su due fronti: occorre affiancare le norme sul caporalato all’approvazione delle proposte di riforma dei reati alimentari presentate dall’apposita commissione presieduta da Giancarlo Caselli, presidente del comitato scientifico dell’Osservatorio Agromafie promosso dalla Coldiretti, ma è anche necessario arrivare al più presto – conclude la Coldiretti – al recepimento della direttiva (UE) 2019/633 in materia di pratiche commerciali sleali del 17 aprile 2019 per ristabilire condizioni contrattuali più eque lungo la catena di distribuzione degli alimenti, con l’introduzione di elementi contrattuali e sanzionatori certi rispetto a prassi che finora hanno pesantemente penalizzato i produttori.